“Vi immaginate una lupa che insegna alle sue cucciole a essere carine? A sorridere invece di difendersi dai predatori?”

Clarissa Pinkòla Estes, Donne che corrono coi lupi

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Legittimare le bambine a dire “no” quando qualcosa non le fa sentire a proprio agio le aiuterà a fare lo stesso quando saranno donne, davanti a chi potrebbe ferirle. È superfluo forse dire che questa competenza serve anche ai bambini, ma che questi sono avvantaggiati da un modello culturale che ancora chiede alle bambine di essere sensibili e gentili e ai bambini di non esserlo troppo. Per fortuna i modelli culturali evolvono.

Come le si aiuta? Almeno in due modi.

Il primo: sostenerle nel fiutare il pericolo, per usare un’immagine cara a Clarissa Pinkòla Estes.

Che non è terrorizzarle nei confronti del mondo, proiettando loro addosso mille paure. Si tratta piuttosto di non mistificare le loro sensazioni, quali che siano, sostituendole con le proprie: “Non senti che fa freddo? Copriti chè hai freddo!”, “Non senti che buono questo cibo? Come fa a non piacerti?” Al contrario: divenute donne, davanti ad una situazione poco chiara o potenzialmente pericolosa, le aiuterà a proteggersi essere state legittimate ad ascoltarsi nelle piccole cose. Essere state validate nel fidarsi del proprio sentire e rispettarlo anche quando diverso da quello dei genitori. Che hanno lasciato che vi fossero preferenze diverse nei sapori, sensazioni differenti riguardo le cose, pensieri divergenti, e non cercato di far assomigliare la bambina al proprio ideale interno: l’allenamento più fruttuoso in questo senso.

Accogliere i “no” delle bambine non significa avvallare qualunque richiesta o posizione ma non inquinare il loro sentire quando esprime una propria attitudine. Rispettarla così com’è invece di contrapporvi dogmi del tipo “Non si dice no alla mamma!” (perchè no?) o aspettarsi che provino qualcosa di diverso da ciò che sentono. Ricordo ancora una frase tipica di mia nonna quando ero bambina e manifestavo con decisione le mie preferenze: “L’erba voglio cresce solo nel giardino del Re!”, come a dire che l’esercizio della volontà era privilegio di pochi e segno di superbia. Anche questo precetto pedagogico sta sfumando, ma se per generazioni le bambine vengono disapprovate quando dicono “non voglio questo” e anche quando dicono “voglio questo”, non rimane loro altra scelta che imparare ad adattarsi a ciò che fanno e vogliono gli altri. Oppure ribellarsi, come la storia insegna.

Il secondo. Non educare le bambine ad essere compiacenti.

Nel senso di permissive e indulgenti nei confronti di chi manca loro di rispetto o le ferisce in qualche modo o più semplicemente chiede loro di fare qualcosa che non condividono. Si può essere educate anche senza essere disponibili ad essere ferite. Questo passaggio, come il primo, presuppone che soprattutto la madre abbia maturato in sé questa consapevolezza e un atteggiamento di radicato rispetto di se stessa. L’esempio è sempre lo strumento di apprendimento più efficace, nel bene e nel male.

Tutti i bambini tendono spontaneamente a compiacere le aspettative dei genitori, a ripetere ciò che vedono fare loro o verso cui vengono incoraggiati. Se l’istinto suggerisce loro che qualcosa o qualcuno “non è buono” ma viene chiesto loro di farlo entrare (che sia per mangiarlo, che sia per abbracciarlo), i bambini devono scegliere tra fidarsi di ciò che sentono e mantenere l’approvazione (e l’amore) dei genitori; e tra le due cose sceglieranno sempre la seconda.

Esempio. Madre e figlia incontrano per strada un conoscente e la bambina percepisce la madre irrigidirsi; questa sollecita la figlia a salutare il conoscente con un bacio. La bambina avverte che qualcosa in quell’incontro non va bene, che quella persona mette in difficoltà la mamma, eppure deve mostrare simpatia e avvicinarsi. L’esatto contrario di quello che il suo istinto le suggerisce.

Che cosa fanno i bambini per risolvere il conflitto tra ciò che sentono non buono (“Non mi piace”) e la fiducia che hanno nei genitori (“Se la mamma e il papà dicono che è buono deve essere vero”), tra il rifiuto istintivo e la paura di deluderli? Anestetizzano il sentire, meccanismo che se reiterato può divenire la modalità abituale con cui affrontano la vita e le persone. Lupe compiacenti col fiuto addormentato: molto pericoloso.

Naturalmente sta alla sensibilità e all’intelligenza dei genitori non fare di questa premura il pretesto per non mettere limiti e non dire dei “no” educativi. Non è semplice, lo sanno tutti i genitori che quotidianamente si interrogano sulle risposte più opportune da dare invece di ripetere meccanicamente quelle che ricevevano da piccoli o che trovano più immediate, efficaci. Efficacia che spesso è misurata con l’obbedienza e la tranquillità dei figli, ma non è detto che questo sia il criterio ideale per valutare il loro grado di benessere e aiutarli ad attrezzarsi per la vita adulta.

Basta guardare a ritroso nella storia di donne che non sanno riconoscere o allontanare persone pericolose per la propria integrità fisica e psicologica, che si sentono in colpa nell’andarsene da chi le maltratta, nel dire “No” agli abusi. Che fanno le “brave” anche quando hanno un occhio pesto e il cuore a pezzi. Si tratta il più delle volte di ex bambine che non hanno ricevuto il sostegno necessario, dunque il permesso, a rispettare e proteggere il proprio Bene. Che non hanno potuto esercitarsi in questo con i genitori, o che hanno visto i genitori incapaci di farlo con gli altri. Naturalmente intrecciato a questo andrebbe esplorato il tema della dipendenza affettiva, ma non è il focus di questa riflessione.

Hanno dovuto scegliere tra il proprio sentire e l’essere amate. Sono state incoraggiate a non ferire mai l’altro, a non farlo sentire sbagliato, piccolo, solo, a capire i suoi comportamenti senza tenere conto di come questo le faceva stare e a prescindere da come l’altro si comportava. Prove pratiche per un ruolo sociale che come un vestito veniva pian piano cucito loro addosso e che sarebbero riuscite a togliere solo molto tempo dopo, con un grosso e doloroso lavoro di comprensione di sé, spinte il più delle volte dai lividi – reali o figurati – di relazioni con partner violenti.
Dunque molto si gioca nell’infanzia e nella volontà di trasmettere alle proprie figlie un senso di rispetto e di amore anzitutto verso se stesse. Molto si gioca nella relazione genitori-figlie. Moltissimo nel paesaggio interiore delle madri, a cui le figlie sono visceralmente legate.

L’auspicio naturalmente è che mentre alle bambine viene insegnato a fidarsi del proprio sentire e il diritto a dire “Non mi va”, ai bambini venga insegnato a rispettare le scelte altrui anche quando non li includono. Insegnamenti, questi, che le bambine e i bambini ricavano naturalmente da ciò che vedono accadere tra la mamma e il papà e dal clima di amore e rispetto in cui sono cresciuti.

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illustrazione di Kevin Peterson

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