Quando il primo uomo disse Io, 
il cielo si separò dalla terra 
e gli esseri ammutolirono.
Quel giorno nacquero 
la nostalgia, 
poi i miti e le fiabe 
per ricordare la strada 
di Casa.
Da allora, per risentirsi 
parte del Tutto, 
l’uomo canta la terra 
e interroga le stelle.

Dalla notte dei tempi l’uomo si cura con le storie del cielo e i canti della terra perché parola e musica sono figlie del suono primordiale che scava, radica, trasforma, connette.

Quando racconta il viaggio dell’Anima, delle prove necessarie e dei talenti dimenticati, la parola si fa sacra. Come in lingua Guaranì, “Ñe’e ë” significa sia ‘parola’ che ‘anima’: se ti do la mia parola, ti do la mia anima. Quando canta il legame con la terra, la parola è atto magico che riallinea tutti gli esseri alla stessa matrice oltre lo spazio e il tempo.

Molto prima che la lama della scienza separasse mente, corpo e spirito, l’uomo usava il canto per curare e per curarsi. Nella borsa medicina degli sciamani, canti e spiriti vegetali agivano sinergicamente permettendo al guaritore di Vedere, Comprendere e Agire.

Sebbene non sia ancora così diffuso in Italia come lo è in altri paesi, il canto di cura viene da una tradizione antichissima che affonda una delle sue radici anche nella nostra medicina popolare, quando le guaritrici, le herbarie, erano solite mormorare o canticchiare le loro formule mentre raccoglievano piante curative, preparavano medicine e trattavano i malati.

La tradizione che ho maggiormente approfondito è quella di area amazzonica, dove il canto è usato dallo sciamano come un vero e proprio bisturi vibrazionale. Ho avuto la possibilità di immergermi in questa realtà misteriosa, bellissima e per molti versi sconvolgente. Da questo studio è nato il libro scritto con mio marito Matteo: “Il canto della foresta. Ayahuasca e medicina sciamanica” (Mauna edizioni), nel quale abbiamo cercato di rendere fruibili le conoscenze, le tradizioni di cura e l’utilizzo della musica medicina a chi non ne mai fatto esperienza o desidera approfondirla maggiormente.

A questo originario (e in parte irripetibile) patrimonio delle culture indigene, e ai contesti rituali in cui moltissimi occidentali nel tempo sono andati a cercare cura e conoscenza, si ispira un repertorio crescente di musica medicina che ha propri circuiti di diffusione e appuntamenti sonori in tutto il mondo.

I cerchi di canti sono una delle forme più diffuse in cui si esprime la musica medicina anche in Italia. Teniamo regolarmente cerchi di canti di cura, ben consapevoli che non basta cantare in lingua indigena o suonare un tamburo per “fare sciamanismo”.

Riuscire a trasmettere anche solo una piccola parte della saggezza musicale dei nativi e dei canti da loro ispirati ci sembra giá molto e ancora troppo poco rispetto a ció che loro fanno per noi: ricordarci che la vita, la salute e la felicitá dipendono dal nostro legame con la Natura e preservare questo legame anche a costo della vita.

Il nostro intento é strettamente connesso a quello di “guardiani della Terra” (Starhawk) e ad una visione radicata ed ecocentrica: senza questo sfondo anche la spiritualità sottesa a certe pratiche rischia di essere pura creazione mentale individualista che ci allontana da noi stessi e dalla comunità. Ci riconosciamo nelle culture native proprio perché uno dei loro pilastri è il credere che nessuno si salva da solo; l’altro è il credere che ogni cosa sia sacra e vada trattata come tale.

I loro canti, così come le loro storie, miti di creazione e leggende, parlano proprio di questo. Di come gli antenati abitino gli elementi naturali per proteggerci e insegnarci, di cosa accade se l’equilibrio naturale viene rotto, della coscienza curativa delle piante, di come lasciarsi abbracciare dal Grande Mistero. Di come sanare le ferite del corpo e dello spirito.

Alcuni canti somigliano alle formule magiche delle nostre fiabe: aprono, ripuliscono, trasformano, sigillano. Altri sono lunghi elenchi di cose molto importanti: fiori, giaguari, colibrì, il sole, le stelle, il cui spirito viene evocato per superare la paura, attraversare una foresta, guarire da un male, ristabilire la pace nella comunità.

Altri parlano alle nostre radici, al ventre, al cuore, allo spazio della visione. I canti indigeni raccontano l’Uno che non si è mai frammentato in mente e corpo, in io-altro, per questo ci curano. Per questo quando li proponiamo invitiamo le persone a non concentrare l’ascolto su di noi, ma su loro stesse.

Come lavoriamo con la musica medicina:

“C’è un dolore che proviamo perché veniamo feriti e c’è un dolore che proviamo perché la ferita sta guarendo. Quando confondiamo i due processi ecco la paura, quando invece riconosciamo che il dolore è guarigione in atto la fiducia può riemergere”.

Silvia Riccamboni, Matteo Maria Bonani
“Il canto della foresta. Ayahuasca e medicina sciamanica, Mauna Edizioni

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