“Non può farcela senza di me”, “Parlarne non serve a nulla”, “Se faccio questo non mi perdonerà mai”, “Posso contare solo su di me”, “Bisogna pensare prima agli altri e poi a se stessi”…
Le gabbie mentali sono strutture rigide di pensiero costruite nel tempo, le cui sbarre sono gli insegnamenti ricevuti, le regole non discusse, i giudizi, le aspettative su di sé e sugli altri. Metallo fuso in una mescola di antiche paure e bisogni indistinti; solitamente, la paura di quel che potrebbe accadere (a noi stessi o agli altri) se osassimo esprimere posizioni diverse; e il bisogno di sentire al sicuro la nostra appartenenza al gruppo (coppia, famiglia, team di lavoro, gruppo di amici).
In effetti, finchè aderiamo a queste norme implicite raccogliamo consenso e sostegno, dal momento che la relazione che abbiamo contribuito a creare si regge su un equilibrio che tiene finchè noi e gli altri siamo/agiamo “in quel modo”. Ma chi è dentro una gabbia mentale di solito non lo sa, lo scopre nel momento in cui qualcosa di nuovo/interessante si affaccia alla sua vita al di là delle sbarre e tendendo una mano scopre di non riuscire a prenderla; o quando chi gli/le viveva accanto si allontana per non soffocare.
I pensieri-sbarra sono per lo più vissuti non consapevoli o rivendicati come posizioni personali sulle quali forse non ci si è mai troppo soffermati. Restare leali al codice di pensiero e comportamento della nostra famiglia di origine anche quando siamo ormai adulti ci fa sentire intimamente al sicuro, adeguati, (ancora) meritevoli di approvazione e di amore in ogni nuovo ambiente umano in cui ci muoviamo.
E questo senso di adeguatezza-sicurezza per molto tempo può risultare più importante della felicità che deriva dall’essere spontanei e autentici, anzi: la felicità può a lungo coincidere con (essere scambiata per?) il sentirsi al sicuro. Dietro questi adulti vi sono quasi sempre bambini che hanno dovuto barattare la libertà di essere se stessi con l’amore e l’approvazione dei genitori, e che hanno imparato quali norme rispettare per sentirsi normali, quali pensieri e comportamenti fare propri per non sentirsi “abbandonati” emotivamente da loro (amati meno, giudicati, umiliati, derisi, esclusi).
Come uscire da queste gabbie? Come uscire da una gabbia in cui non si è consapevoli di trovarsi? E’ la vita che ce ne fa accorgere, quando qualcosa comincia a non funzionare più bene. Quando mantenere quell’equilibrio comincia a costarci troppo, quando ripetutamente sbattiamo in situazioni che ci rivelano la presenza di qualcosa che non riusciamo a vedere ma che chiaramente si frappone tra noi e… una diversa possibilità.
Non possiamo uscire da alcuna gabbia finché non ci rendiamo conto di esserci dentro. A volte siamo così attaccati alle nostre convinzioni da non accorgerci che hanno finito per limitare il nostro spazio vitale, la nostra stessa postura.
Vi sono allora domande che sono come quei gas colorati che nei film i ladri usano per rivelare la presenza dei raggi invisibili intorno al gioiello: ci rivelano le sbarre invisibili che bloccano il nostro passo.
Quando chiediamo a chi non trova il coraggio di andarsene da una relazione (“Non può farcela senza di me”), in che modo sta alimentando la dipendenza dell’altro; o chiediamo a chi fa scelte dettate dagli altri (“Se faccio questo non mi perdonerà mai”), cosa teme che accada deludendoli; o a chi rinuncia ad agire (“Tanto non serve a nulla”), di cosa avrebbe bisogno per farcela, o cosa potrebbe cambiare nella sua vita se ce la facesse. Domande che aiutano a comprendere che il problema non è la situazione reale ma il suo modo di viverla e interpretarla, e che dove è il problema lì si trova anche la soluzione e le risorse per ottenerla.