La narrazione come cura

Anche la psicoterapia, come molte fiabe, spesso inizia con un “C’era una volta…”. C’era una volta il/la protagonista, c’erano i suoi genitori, c’era un luogo dove la quotidianità si svolgeva. Poi qualcosa è accaduto, o non potrebbe esserci storia nè vita, dando inizio alla prova, al viaggio iniziatico, all’entrata nel bosco che ha segnato la fine dell’infanzia, dell’innocenza inconsapevole dell’Anima.

E c’erano una volta i nemici e c’erano gli alleati del/la protagonista: quelli che ne hanno allo stesso tempo ostacolato e promosso la trasformazione alchemica in eroe/eroina; e quelli che come forze benefiche sono giunti in soccorso quando ogni speranza sembrava perduta.

La psicoterapia può essere intesa anche come cura della propria storia. Non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo fare esperienza di una nuova narrazione nella quale le prove acquisiscono senso e trovano il sostegno che era mancato. E sappiamo già come farlo, possiamo contare su una sorta di innata competenza ad intrecciare tra loro cura e narrazione. Non stupisce, la nostra natura è narrativa nella misura in cui è relazionale: raccontarsi e raccontare è naturale e vitale come respirare.

Lo studio delle origini del linguaggio aggiunge filo a questo intreccio e nel seguirlo scopriamo qualcosa di affascinante. Anche il canto e la parola nascono dallo stesso seme, quel suono-richiamo che le nostre antenate emettevano mentre raccoglievano cibo per far sapere al neonato che la mamma era lì vicino anche se non la poteva vedere (consiglio il lavoro di Dean Falk: “Lingua madre. Cure materne e origini del linguaggio”, Boringhieri).

Ecco tessuti insieme, dalla notte dei tempi, suono, parola, relazione e cura.

Vi è una fase dello sviluppo in cui ogni bambino assilla i genitori perchè raccontino, ancora e ancora fino allo sfinimento, aneddoti di quando era più piccolo, o di quando erano piccoli loro. “Mi racconti di quando…?” va di pari passo al “Ti ricordi quando…?” dei genitori: è il farsi dell’appartenenza che intreccia parole, ricordi comuni, atmosfere e rispecchiamenti, dai quali potrà emergere un primo senso di “ecco chi sono”.

Noi siamo un colloquio“.

E. Borgna

In terapia il sintomo stesso è una trama condensata che pian piano terapeuta e paziente dipanano insieme: “Che storia racconta questo sintomo di te, della tua vita?” Storia, mito, archetipo: lettere dell’alfabeto con cui Anima si racconta, se solo dall’altra parte qualcuno sa ascoltare. Per questo una psicologia che si faccia tentare troppo dall’approccio medico riduzionista rischia di perdere il suo compito originario di interprete del linguaggio di Anima.

Un grande terapeuta, Erving Polster, diceva che “ogni vita merita un romanzo”: quante volte ascoltando gli altri raccontarsi ci sembrano gli eroi e le eroine della propria vicenda esistenziale e la loro vita una storia che cercava solo le parole giuste per essere narrata? E quanto bene ci fa all’anima quando qualcuno è totalmente presente nell’ascoltare il nostro romanzo personale?

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