In questa narrazione sorprendente che è la vita, da sempre l’uomo guarda ai miti, prima, alle fiabe poi, come un marinaio alle stelle. Le rotte che disegnano nella nostra coscienza riaffiorano a volte anche in terapia, dove racconto personale e racconto collettivo si inseguono, si rispecchiano, vibrano insieme. E pongono domande molto simili.
Ci sono passaggi ineluttabili che ci attendono – ad un bivio dell’esistenza, ai margini di un bosco, al compimento di una certa età dell’anima – preannunciati da segni che fiaba dopo fiaba riconosciamo così bene che non appena si manifestano nella vita del/della protagonista intuiamo con un fremito sotto pelle che sta per accadere qualcosa che stravolgerà lo stato delle cose e non c’è nulla che potrà impedirlo.
Quel fremito è il prendere vita di un archetipo, una forza immaginale che da quel momento e per tutta la narrazione seguiremo come se ci possedesse: un cerchio è stato aperto e deve essere chiuso.
Per superare questi passaggi abbiamo bisogno di aiuto. Ci servono alleati che come levatrici ci aiutino a partorire un talento creativo, una funzione psichica che era ancora inconsapevole o solo acerba, grazie alla quale l’ostacolo sarà oltrepassato. Spesso a innescare questo risveglio e permetterne il dispiegamento sono forze “contrarie” che ci scalzano brutalmente dalla nostra condizione di sonno/inconsapevolezza iniziale, sbattendoci in prima linea, privandoci di tutto ciò che eravamo e avevamo. Forze che definiremmo tutt’altro che alleate, ma che voltandoci indietro a storia conclusa, da quella angolazione più alta e matura che l’esperienza fatta consente, vediamo essere di fatto tra le promotrici della nostra metamorfosi.
“Dobbiamo dunque precipitarci a ringraziarle? A ringraziare ladri d’anima e carnefici? È questo che le storie insegnano o è una lettura che scegliamo di dare?”
Senza prova, senza ostacoli, non c’è fiaba e dunque crescita, trasformazione, vita. Lo sa bene il bruco, che solo grazie allo sforzo compiuto per uscire dal bozzolo diventerà una farfalla in grado di volare; ma se l’uscita viene facilitata da un agente esterno, le ali resteranno fragili e inadatte al volo.
“Ma questo processo è nella natura delle cose o siamo noi a dargli un senso, una valenza morale per sopportarlo meglio?”
Non saremo più gli/le stessi/e di prima. Possiamo provare a rimandare la partenza – vi sono sonni profondi che durano cent’anni – ma una volta che il viaggio iniziatico sarà, appunto, iniziato, non si torna più indietro. “Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
“Ma è sempre un’evoluzione rispetto alla condizione di partenza, o si può anche “peggiorare”? Si può essere abbandonati in un bosco e a fine fiaba trovare il proprio regno, ma si può anche partire poveri e tornare ancora più poveri.
“Da cosa dipende?”
Dal fatto che permettiamo alla storia di tirare fuori da noi il piombo e trasformarlo in oro. Dal fatto che anche se non vediamo ancora cosa sta accadendo e perché (come sempre nelle buie notti dell’anima in gestazione), in qualche modo mandiamo avanti i nostri passi incerti, sopportiamo di non conoscere ancora le risposte, sbagliamo strada e torniamo indietro 1000 volte… Finché non cominciamo a scorgere segnali che erano sempre stati sotto i nostri occhi, a riconoscere in una voce interna stranamente famigliare la strada di casa… E seguendola arriviamo a comprendere che la prova può concludersi solo quando raggiungiamo quel luogo, a lungo nascosto e protetto da rami impenetrabili, dove finalmente ci riuniamo a ciò che è sacro per noi.
A ciò che è sacro di noi.